venerdì 25 novembre 2016

Incontro diocesano mensile dell’Apostolato della P...

Il giorno 25-11-2016, alle ore 17,30 presso la rettoria di san Giuseppe in via Manzoni, Foggia, si è tenuto l’incontro diocesano mensile dell’Apostolato della Preghiera di Foggia-Bovino sotto la guida della responsabile diocesana Filomena Saracino Savino, che ha svolto la seguente meditazione e contemplazione:La preghiera del Santo Rosario e l’Avvento. “Carissimi fratelli e sorelle, siamo ormai alla vigilia dell’Avvento, e già ci mettiamo in attesa della solita festa di Natale con la solita lista di cose da fare, albero, presepe, regali, pranzi, riunioni di famiglia, telefonate, inviti, visite a parenti ed amici, tutte cose più stancanti che gratificanti, più convenzionali che spontanee. La consuetudine vuole così, e così più o meno convintamente facciamo, per non sentirci fuori dalla norma: non tralasciamo niente, andiamo anche alle funzioni in chiesa tra un affanno e l’altro, una spesa ed un saluto augurale, per essere a posto con la coscienza. Crediamo di vivere l’Avvento al Natale facendo tutto ciò che richiede la circostanza, gesti di cordialità e gentilezza, atti di bontà e di generosità, certi che ci siamo comportati secondo il Vangelo che invita alla concordia ed alla fratellanza, ma appena l’atmosfera natalizia svanisce e si ritorna alla vita consueta, ritornano anche l’egoismo e la diffidenza, il sospetto e la rivalità, se il cambiamento di cuore era dovuto solo all’osservanza esteriore delle pratiche religiose e sociali che precedono il Natale, e non era fondato sulla roccia della persona di Cristo. La vera conversione alla quale ci richiama l’Avvento nasce dall’ascolto e dall’accoglienza in profondità della sua Parola, che nutre il nostro cuore e lo trasforma in cuore capace di amare, perdonare, servire i fratelli, con gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. E perché questo miracolo avvenga ci vuole la fede in Colui che parla ed ammaestra, fede assoluta, che regge a tutte le prove. E la preghiera è la linfa che fortifica la fede, la preghiera fervorosa, costante, perseverante, umile. Il tempo di Avvento è il tempo propizio per sgomberare il cuore e la mente dalle cose superflue, per fare il deserto dentro di noi, altro che prelibatezze e luccichio delle vetrine del mondo, ed accogliere con onore e rispetto il Verbo incarnato che riempie, Lui sì davvero, di luce e di gioia tutto il nostro essere. Preghiamo allora stasera con un Rosario pieno di speranza di una vita nuova che scaccia angosce e tormenti, malumori e risentimenti, contempliamo i misteri gaudiosi dell’attesa e della consolazione che premia la fede in Chi deve venire a noi e per noi, chiediamola, quella fede che non vacilla mai, e che è la chiave per aprire il cuore del Signore ed ottenere grazie su grazie. Il primo mistero gaudioso ci offre Maria come modello di fede così grande, così forte, così ferma, da portare all’abbandono alla volontà di Dio anche quando ciò che Egli promette sembra umanamente impossibile. E noi, crediamo alle parole che non un angelo, ma il Signore stesso ci dice giorno per giorno per mezzo del Vangelo, o le riteniamo favole consolatorie, da prendere colle molle? Ad esempio, nel canto al Vangelo di oggi sta scritto: “Io sono Colui che è, che era e che viene; al mio servo che avrò trovato fedele darò la fulgida stella del mattino.” : è forse questa promessa una bella favoletta? Maria ebbe fede ed a lei, serva fedele, fu dato di concepire e partorire il Messia, a noi è concessa la stessa meraviglia, la fulgida stella del mattino, ossia la luce, la salvezza, la liberazione dalle oscure paure che ci avviliscono, il coraggio e la forza che ci fanno superare ogni ostacolo. Se crediamo che questo può succedere a noi, benché misere ed indegne creature, per grazia e carità di Dio, se ci crediamo con la stessa fede di Maria, fede pura ed indomabile, il miracolo accade, e lo Spirito Santo ci fa creature nuove, che niente può abbattere e sconfortare, neppure le vicende più dolorose e amare. Il secondo mistero gaudioso ci fa contemplare Maria, la donna della fede che compie miracoli, in cammino per andare ad assistere la cugina Elisabetta: ecco le opere della fede, disponibilità per chi ha bisogno, sollecitudine, conforto, aiuto gratuito, donazione di sé fino al sacrificio delle proprie comodità e convenienze. Dobbiamo agire così anche noi, fratelli, sapendo di attirare non solo e non tanto la benedizione degli uomini, che può anche mancare, ma soprattutto la benedizione divina, che per Maria si manifestò nel sussulto del bambino che Elisabetta portava nel seno. Dio tutto conosce e tutto riconosce e premia, a maggior ragione se le nostre opere sono la testimonianza della nostra fede in cammino verso gli altri per incontrare negli altri Lui, il Signore! Il terzo mistero gaudioso ci fa contemplare il bambino Gesù, frutto vivo della fede di Maria. Anche noi possiamo conseguire tale frutto d’amore, come abbiamo detto con la fede e le opere della fede, e mostrarlo a tutti attraverso il nostro volto sorridente, sereno, gioioso, attento, sincero e limpido come quello di un bambino fra le braccia dei genitori. Se siamo cupi, scontrosi, sfuggenti, ostili, deridenti, non siamo figli della luce, molte sono ancora le tenebre che ci portiamo dentro, orgoglio, malizia, rabbia, cupidigia, vanagloria, e tutte quelle passioni che nascono dalla carne e sono contrarie allo Spirito. Purifichiamoci al fuoco di una fede veramente ardente! Nel quarto mistero gaudioso il vecchio Simeone è l’esempio della perseveranza nella fede fino all’ultimo giorno della vita terrena: fermarsi alla soglia del traguardo è da sciocchi, si vanifica e si annulla tutto quanto fatto in precedenza! Perseveriamo nella nostra fede come il vecchio Simeone, e saremo scritti nel libro della vita infinita, come dice la prima lettura di oggi. Nel quinto mistero gaudioso ammiriamo la sapienza e la scienza di Gesù tra i dottori nel tempio: anche a noi sono concessi tali grandi doni di intelligenza, conoscenza, discernimento, saggezza , in una parola la sapienza del cuore, nella misura della nostra fede nel Padre celeste che sa quello che fa, vede e provvede ad ogni nostra necessità. Con gli occhi della fede possiamo cogliere il senso di quello che succede e ci succede,capire il disegno di salvezza di Dio mediante la passione, morte e resurrezione di Cristo e di noi cristiani in comunione profonda con Lui, e dire a gran voce, come Maria: sì, così sia!

Incontro diocesano mensile novembre

Il giorno 25-11-2016, alle ore 17,30 presso la rettoria di san Giuseppe in via Manzoni, Foggia, si è tenuto l’incontro diocesano mensile dell’Apostolato della Preghiera di Foggia-Bovino sotto la guida della responsabile diocesana  Filomena Saracino Savino, che ha svolto la seguente meditazione e contemplazione:La preghiera del Santo Rosario e l’Avvento.
“Carissimi fratelli e sorelle,
siamo ormai alla vigilia dell’Avvento, e già ci mettiamo in attesa della solita festa di Natale con la solita lista di cose da fare, albero, presepe, regali, pranzi, riunioni di famiglia, telefonate, inviti, visite a parenti ed amici, tutte cose più stancanti che gratificanti, più convenzionali che spontanee.
La consuetudine vuole così, e così più o meno convintamente facciamo, per non sentirci fuori dalla norma:
non tralasciamo niente, andiamo anche alle funzioni in chiesa tra un affanno e l’altro, una spesa ed un saluto augurale, per essere a posto con la coscienza.
Crediamo di vivere l’Avvento al Natale facendo tutto ciò che richiede la circostanza, gesti di cordialità e gentilezza, atti di bontà e di generosità, certi che ci siamo comportati secondo il Vangelo che invita alla concordia ed alla fratellanza, ma appena l’atmosfera natalizia svanisce e si ritorna alla vita consueta, ritornano anche l’egoismo  e la diffidenza, il sospetto e la rivalità, se il cambiamento di cuore era dovuto solo all’osservanza esteriore delle pratiche religiose e sociali che precedono il Natale, e non era fondato sulla roccia della persona di Cristo.
La vera conversione alla quale ci richiama l’Avvento nasce dall’ascolto e dall’accoglienza in profondità della sua Parola, che nutre il nostro cuore e lo trasforma in cuore  capace di amare, perdonare, servire i fratelli, con gli stessi sentimenti di Cristo Gesù.
E perché questo miracolo avvenga ci vuole la fede in Colui che parla ed ammaestra, fede assoluta, che regge a tutte le prove.
E la preghiera è la linfa che fortifica la fede, la preghiera fervorosa, costante, perseverante, umile.
Il tempo di Avvento è il tempo propizio per sgomberare il cuore e la mente dalle cose superflue, per fare il deserto dentro di noi, altro che prelibatezze e luccichio delle vetrine del mondo, ed accogliere con onore e rispetto il Verbo incarnato che riempie, Lui sì davvero, di luce e di gioia tutto il nostro essere.
Preghiamo allora stasera con un Rosario pieno di speranza di una vita nuova che scaccia angosce e tormenti, malumori e risentimenti, contempliamo i misteri gaudiosi dell’attesa e della consolazione che premia la fede in Chi deve venire a noi e per noi, chiediamola, quella fede che non vacilla mai, e che è la chiave per aprire il cuore del Signore ed ottenere grazie su grazie.
Il primo mistero gaudioso ci offre Maria come modello di fede così grande, così forte, così ferma, da portare  all’abbandono alla volontà di Dio anche quando ciò che Egli promette sembra umanamente impossibile.
E noi, crediamo alle parole che non un angelo, ma il Signore stesso ci dice giorno per giorno per mezzo del Vangelo, o le riteniamo favole consolatorie, da prendere colle molle?
Ad esempio, nel canto al Vangelo di oggi sta scritto: “Io sono Colui che è, che era e che viene; al mio servo che avrò trovato fedele darò la fulgida stella del mattino.” : è forse questa  promessa una bella favoletta?
Maria ebbe fede ed a lei, serva fedele, fu dato di concepire e partorire il Messia, a noi è concessa la stessa meraviglia, la fulgida stella del mattino, ossia la luce, la salvezza, la liberazione dalle oscure paure che ci avviliscono, il coraggio e la forza che ci fanno superare ogni ostacolo.
Se crediamo che questo può succedere a noi, benché misere ed indegne creature, per grazia e carità di Dio, se ci crediamo con la stessa fede di Maria, fede pura ed indomabile, il miracolo accade, e lo Spirito Santo ci fa creature nuove, che niente può abbattere e sconfortare, neppure le vicende più dolorose e amare.
Il secondo mistero gaudioso ci fa contemplare Maria, la donna della fede che compie miracoli, in cammino  per andare ad assistere la cugina Elisabetta: ecco le opere della fede, disponibilità per chi ha bisogno, sollecitudine, conforto, aiuto gratuito, donazione di sé fino al sacrificio delle proprie comodità e convenienze.
Dobbiamo agire così anche noi, fratelli, sapendo di attirare non solo e non tanto la benedizione degli uomini, che può anche mancare, ma soprattutto la benedizione  divina, che per Maria si manifestò nel sussulto del bambino che Elisabetta portava nel seno.
Dio tutto conosce e tutto riconosce e premia, a maggior ragione se le nostre opere sono la testimonianza della nostra fede in cammino verso gli altri per incontrare negli altri Lui, il Signore!
Il terzo mistero gaudioso  ci fa contemplare il bambino Gesù, frutto vivo della fede di Maria.
Anche noi possiamo conseguire tale frutto d’amore, come abbiamo detto con la fede e le opere della fede, e mostrarlo a tutti attraverso il nostro volto sorridente, sereno, gioioso, attento,  sincero e limpido come quello di un bambino fra le braccia dei genitori.
Se siamo cupi, scontrosi, sfuggenti, ostili, deridenti, non siamo figli della luce, molte sono ancora le tenebre che ci portiamo dentro, orgoglio, malizia, rabbia, cupidigia, vanagloria, e tutte quelle passioni che nascono dalla carne e sono contrarie allo Spirito.
Purifichiamoci al fuoco di una fede veramente ardente!
Nel quarto mistero gaudioso il vecchio Simeone è l’esempio della perseveranza nella fede fino all’ultimo giorno della vita terrena: fermarsi alla soglia del traguardo è da sciocchi, si vanifica e si annulla tutto quanto fatto in precedenza!
Perseveriamo nella nostra fede come il vecchio Simeone, e saremo scritti nel libro della vita infinita, come dice la prima lettura di oggi.
Nel quinto mistero gaudioso ammiriamo la sapienza e la scienza di Gesù tra i dottori nel tempio: anche a noi sono concessi tali grandi doni di intelligenza, conoscenza, discernimento, saggezza , in una parola la sapienza del cuore, nella misura della nostra fede nel Padre celeste che sa quello che fa, vede e provvede ad ogni nostra necessità.

Con gli occhi della fede possiamo cogliere il senso di quello che succede e ci succede,capire il disegno di salvezza di Dio mediante la passione, morte e resurrezione di Cristo e di noi cristiani in comunione profonda con Lui, e dire a gran voce, come Maria: sì, così sia!

sabato 5 novembre 2016

Apostolato della Preghiera : Incontro diocesano mensile

Incontro diocesano mensile dell’Apostolato della Preghiera di Foggia-Bovino
Il giorno 28 – 10- 2016 alle ore 17,30 presso la rettoria di San Giuseppe in via Manzoni, Foggia, si è tenuto l’incontro diocesano mensile che ha aperto l’anno sociale dell’Apostolato della Preghiera di Foggia-Bovino.
Ha guidato la preghiera comunitaria la presidente diocesana Filomena Saracino Savino, che invitato i presenti  a contemplare i misteri dolorosi del santo Rosario con animo aperto ai suggerimenti dello Spirito, che vuole ammaestrare, correggere, spronare alla conversione ed al progresso nella fede, nella speranza, nell’amore.
Prima di iniziare a pregare si è implorata la misericordia di Dio Padre mediante l’intercessione di Maria madre di misericordia presso il Figlio suo Gesù con le parole di questa poesia di Ungaretti: “Cristo, pensoso palpito, astro incarnato nell’umane tenebre, fratello che t’immoli perennemente per riedificare umanamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri,  maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri per liberare dalla morte i morti e sorreggere noi infelici vivi,
d’un pianto solo mio non piango più, ecco, ti chiamo, Santo, Santo, Santo, Santo che soffri.”.
Il santo Rosario inizia con la contemplazione e meditazione dell’agonia di Gesù nell’orto, della sua angoscia, tristezza, disperazione umane, che per l’abbandono totale alla volontà del Padre che sa quello che fa si trasformano in  compassione e comprensione per noi peccatori, per i quali offre la vita e merita il perdono e la salvezza : impariamo da Lui, nostro maestro, fratello, Dio!
La flagellazione di Gesù alla colonna ci ricorda i flagelli, nella carne e nell’anima, che ogni giorno ci colpiscono, tanto più dolorosi quando provengono dalle persone a noi più care e più vicine:
Gesù tutto sopportò, tutto perdonò, tutto offrì, impariamo da Lui, nostro maestro, fratello e Dio!
Quante spine sul capo di Gesù, le nostre ingiurie, le nostre irriconoscenze, le nostre infedeltà!
Eppure Egli non maledisse, non rinnegò  chi lo feriva, ma accettò gli insulti con animo mite e paziente e misericordioso: impariamo da Lui, nostro maestro, fratello e Dio!
La croce sono le prove più pesanti, i lutti, le malattie, le disgrazie, che ci lasciano smarriti ed avviliti: perché proprio a me, che ho fatto di male?  E chiediamo che la croce ci sia tolta, non ce la facciamo più!
Gesù non  se ne lamentò mai, la abbracciò per amore nostro, e il Padre lo benedisse e in Lui benedisse ogni creatura  provata ed oppressa che non si ribella alla croce che deve portare.
Impariamo da Gesù, nostro maestro, fratello e Dio!
La morte è liberazione, resurrezione, rinascita a vita nuova: non ci spaventi, non ci turbi, non ci danni!

Siamo più forti della morte, grazie a Gesù: impariamo da Lui, nostro maestro  e fratello e Dio!

sabato 9 luglio 2016

Apostolato della Preghiera : Il nuovo umanesimo dell’Apostolato della Preghiera...

Il nuovo umanesimo dell’Apostolato della Preghiera
La Carità divina è predisposta a sempre nuovi  disegni di santificazione dell’uomo  alla ricerca della Verità  incarnata da Cristo, e non lascia irrisolti i problemi interiori che il progresso sociale determina  e scatena nei fedeli  sostenitori del  precetto evangelico della giustizia colma di misericordia, in contrasto con il desiderio di  autosoddisfazione dei propri interessi che il mondo  coltiva concretamente  nel  mito del capitalismo.
Il dono della sapienza è concesso a chi non si arrende alla logica imperante, riconducibile al dominio della carne sullo spirito, ma richiede un continuo ascolto della avvertenze provvidenziali dei fatti che accadono,   un costante  interrogarsi  sul mistero di Cristo in rapporto alla propria vita, una  seria riflessione sui valori attuali in rapporto ai precetti  eterni  contemplati nell’umanesimo  esemplare di Gesù, modello e maestro di ogni uomo che voglia discernere e fare la volontà del Padre, che tutti chiama ad essere suoi figli ed eredi.
L’Apostolato della Preghiera ha raffigurato e raffigura il volto dell’uomo contemporaneo, che non si  rispecchia nell’essere abnormemente razionale professato dall’illuminismo, e neppure nel tenebroso sognatore invocato dal romanticismo, ma trova la sua vera dimensione nella persona  di Giovanni, l’apostolo prediletto del Signore, che riceve  la Sua intima confidenza  per imparare ad interpretare il presente alla luce della storia della salvezza.
Non conta la prosperità economica, che assoggetta l’individuo alla legge spietata della produttività, costringendolo ad eccessi di volontà antagonista, a danno della propria coscienza;  non soddisfa  abbastanza il piacere della conquista di tanti diritti sociali, mancando il gusto della vittoria sulle proprie miserie, acuite dall’andazzo quotidiano  nel  segno  del compromesso per il successo,  la sola consolazione non aleatoria risiede nella contemplazione della  terra promessa, dove arriva chi non pretende i beni materiali,  ma chiede il bene incorruttibile ed essenziale  del cuore umile e mite come il Cuore divino.
La spiritualità dell’Apostolato della Preghiera,  ribadita anche dalla recente ricreazione,  è basata sui sentimenti di Gesù comunicati ai suoi apostoli con le  parole e la vita, e rivela i tratti dell’uomo di preghiera, che per fede in Colui che supplica si spoglia di ogni convenienza  mondana e si abbandona al salutare rimedio di Dio contro la rovina della  passione terrena:  chi si offre in favore  dell’incosciente, dell’irriconoscente, del tiepido e del pavido, si annulla nell’orgoglio personale  di essere degno di ascolto e di benevolenza a motivo della comunione d’intento con il Salvatore e Redentore, e  accetta con umiltà e mitezza  la Provvidenza paterna per i derelitti, ai quali si sente avvinto misticamente e per i quali arde di compassione e pietà.
Il dono di sé per il fratello sordo e cieco nei confronti della Verità e della Carità divine è espressione di corresponsabilità, solidarietà, intermediazione: sono i pilastri dell’umanesimo cristiano  modellato sull’esempio vivo di Cristo Eucarestia, e sono le basi della sua Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, romana.
Con queste basi abbiamo costruito il nostro edificio spirituale in mezzo a palestre e discoteche, o più modestamente cortili ed osterie, ed abbiamo insegnato ai distratti con abnegazione la via della giustificazione.
Ma oggi la nostra vicinanza individuale ed ecclesiale, sensibile ed intellegibile dal  nostro comportamento ed il nostro argomentare sui costumi dei giovani e dei diversi  di ogni genere  con consoni accenti, non è sufficiente a smuovere  le diffidenze e le  resistenze di quanti si sentono  distinti dai nostri  progetti umanitari, ed è dovere  coniugare l’amicizia con la sincera testimonianza d’affetto,  il rispetto con l’impegno serio, l’accoglienza con il sostegno sostanziale.
Per vocazione l’Apostolato della Preghiera è missionario, ma oggi la missione è il presupposto imprescindibile dei nostri atti di carità: quando il prossimo è familiare, si può  assicurare  la sorte dei  confratelli in affanno esistenziale relazionandoli a Cristo nella preghiera e nel sacrificio eucaristico, offerti per loro in riscatto dei loro oltraggi, e si può trasmettere immediatamente l’esempio  di cui hanno bisogno per redimersi  e mettersi  in cammino con noi, ma quando è il forestiero, il lontano che urge del nostro altruismo, il processo è inverso, in quanto siamo noi che dobbiamo abbandonare il nostro  cammino  abituale e portarci nella sorte dell’altro  ancorato alla propria  identità, con accortezza e delicatezza.
L’uomo incontro al quale dobbiamo andare  non è migliore o peggiore di noi, è il risultato di altre esperienze di vita, di altre ansie e paure, forse è miscredente, forse è pagano o impropriamente rispettoso di Dio, forse è minaccioso o rabbioso, intollerante o rude, molesto o villano, non lo sappiamo, se non lo contattiamo senza pregiudizi, e lo predisponiamo alla confidenza.
Già l’Apostolato della Preghiera si è adoperato per i miseri, poveri materialmente e spiritualmente, ne ha fatto il centro dei propri pensieri generosi, proponendo un umanesimo solidale che non ha paragone nel panorama mondiale:  l’apostolo cristiano si è proposto come l’uomo per l’altro uomo, forte del sentire e dell’agire di Cristo, ed ha prodotto la barriera umana contro il male moderno, il pragmatismo arido e squallido.
La società però in questi ultimi anni è cambiata ancora, si è infiltrata la regola dell’ottimizzazione del capitale sociale, qualcosa a metà tra capitalismo e socialismo, e l’attuale globalizzazione del  desiderio di cambiamento di prospettiva di vita è responsabile della corsa alla giustizia reale tra i popoli di ogni latitudine e longitudine del pianeta.
Il neogiustizialismo contemporaneo  ha attivato nella Chiesa maestra di vera solidarietà un’ulteriore promozione della carità soggettiva ed oggettiva, alla luce delle parole di Gesù: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.”. (Matteo 9, 12-13)
Il versetto 12 rimanda alla risposta che il Messia diede a Giovanni Battista riguardo ai malati che gli tendevano le mani per essere risanati: “I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me.”(Matteo 11, 5-6) : la misericordia è applicata ai randagi fuori del tempio, alle  creature che vagano nelle tenebre, ai miseri amari e reietti, ai morti alla speranza di un rimedio al peccato.
È umanesimo che scandalizza i benpensanti, di allora e di oggi, e portato alle supreme conseguenze è umanesimo globale, che nel mondo senza più frontiere precostituite trasfigura la malattia dell’umanità deturpata dalla morsa del fatalismo in opportunità di un nuovo  concetto del malato riconosciuto prediletto da Dio.
Il nuovo umanesimo dell’amorosa preferenza degl’ ultimi eredita il nobile sacrificio per amore del povero,tanto più se ammalato d’ignoranza o rassegnazione al male, sacrificio a noi apostoli del Cuore di Gesù particolarmente congeniale,e ne perfeziona e potenzia la portata: è richiesto in sostanza il resto,di  gran valore, un atto di misericordia che libera il beneficato dalla paura di essere abbandonato a se stesso.
Non solo amicizia, dunque, assicura il cristiano al prossimo che incontra per le vie del mondo, ma la bella novella dei sentimenti che prova per lui, comprensione, disponibilità, benevolenza.
Il mondo ha bisogno d’amore,  altrimenti muore.
Nei cinque verbi del Convegno di Firenze sul nuovo umanesimo in Gesù Cristo sono presenti i cardini della nuova evangelizzazione: uscire, annunciare, abitare,  educare, trasfigurare, fanno la Chiesa come sempre autorevole, provvida, caritatevole, ma le danno qualcosa in più rispetto alla equilibrata commistione di carisma profetico- apostolico (Paolo) e crisma pastorale-magisteriale (Pietro) che ella possiede  sin dagli inizi,  il servizio appassionato al pellegrino senza prospettiva futura, da rassicurare e portare alla meta del giusto benessere dell’anima e del corpo.
Non è  solo preoccupandoci, ma occupandoci  realmente dei poveri in senso lato, che collaboriamo con Cristo alla salvezza dell’umanità:  uscire per annunciare ed educare significa non accontentarsi di salvarsi ma volere salvare, non limitarsi a contemplare ma provvedere ai bisogni altrui, non donare e basta ma donarsi, testimoniando con la vita il Vangelo  che si custodisce nel cuore.
L’apostolo non è l’uomo di scienza, che la materia  deve studiarla a perfezione  e  sperimentarla  in tutti gli effetti  possibili ed immaginabili  per evitare di andare allo sbaraglio, è l’uomo che si muove e va dove una mano tesa lo attende: certo deve contemplare bene il da fare, deve sapere quello che conviene al fratello, ed è per questo che la preghiera precede il soccorso, ne è la molla ed il successo.
Senza la preghiera il volere è dovere,  nel senso che il carico di responsabilità  che uno si prende sulle spalle con ammirevole buona volontà  finisce per sfinirlo ed esaurirlo, per mancanza di risultati immediati, di gratitudine e riconoscenza, di gusto e piacere, e va avanti a fatica, scontento e depresso: è la preghiera che fa rifiorire e solidifica la fede, la speranza e l’amore, e li rende strumento  docile alla volontà di Dio, che mai  fa avvilire chi, anche se non la capisce fino in fondo, la osserva come Maria, con filiale e totale abbandono.
La preghiera è la casa che non crolla mai, il rifugio sicuro in cui ritrovarsi e ritemprarsi, ed il verbo abitare indica proprio questo  tornare a casa  e riprendere animo, per  potersi spendere poi per il prossimo con rinnovato  vigore ed entusiasmo, come trasfigurati.
E trasfigurato può e deve apparire il vecchio e glorioso Apostolato della Preghiera nella misura in cui si modella sul volto pietoso e misericordioso di Gesù Servo di Dio e degli uomini, in completa concordia con il Papa e le sue sante intenzioni:  il primo impegno sia di andare in missione  per le vie del mondo,( mai da soli, almeno due a due, come raccomanda il Maestro ai discepoli),  ossia prestare ascolto alle urgenze intestine di chi si incontra, vincendo con la discrezione e la gentilezza le immancabili resistenze a fidarsi e confidarsi.
Anche l’annuncio evangelico deve essere corretto e composto, pieno di slancio ma  rispettoso del credo altrui,un  esempio di tolleranza che convince ed educa più di tanti paroloni, e il sorriso non manchi mai, è il raggio di sole che scioglie la diffidenza ed il sospetto: la famiglia sia la situazione privilegiata per comprovare  la ricchezza dei frutti che derivano dai nostri valori fondanti, preghiera che diventa vita, verità unita alla carità, giustizia avvinta alla misericordia.
Come Apostolato della Preghiera , uniti a Gesù mite ed umile di cuore soffriamo ed offriamo tutto ciò che siamo ed abbiamo, le nostre miserie e le nostre virtù, dono queste dello Spirito Santo  che il Signore risorto ci ha posto nel cuore, trasformandolo e rendendolo capace di cose meravigliose, persino  perdonare e amare il nemico; come Rete mondiale di Preghiera del Papa,  senza limiti di spazio  professiamo il nostro credo, lo mettiamo a disposizione di ogni figlio di Dio che non sa di esserlo già, o di poterlo diventare, lo risolviamo in compassione tenerissima e grandissima per l’umanità nelle doglie del parto di un nuovo umanesimo, audace ma non temerario, terreno ma rivolto al cielo, mistico ma ordinario, proprio per tutti.

È l’era della conoscenza che si fa riconoscenza  per l’uomo che non si crede Dio, e per questo crede in Dio

Filomena Savino.

martedì 21 giugno 2016

Apostolato della Preghiera : Leczio di suor Anna Maria Mulazzani

Apostolato della Preghiera : Leczio di suor Anna Maria Mulazzani:
La lectio di suor Anna Maria Mulazzani
convegno regionale

LECTIO DIVINA    LC. 15, 11-32  (cfr. Ger. 31, 16-22)

IL FIGLIO PRODIGO
“18 Ho ripetutamente udito Efraim lamentarsi: "Tu mi hai castigato e io sono stato castigato come un torello non domato; fammi ritornare e io ritornerò, perché tu sei l'Eterno, il mio DIO. 19 Dopo essermi sviato, mi sono pentito; dopo aver riconosciuto il mio stato, mi sono battuto l'anca. Mi sono vergognato e ho provato confusione perché porto l'obbrobrio della mia giovinezza". 20 È dunque Efraim un figlio caro per me, un figlio delle mie delizie? Infatti, anche dopo aver parlato contro di lui, lo ricordo ancora vivamente. Perciò le mie viscere si commuovono per lui, e avrò certamente compassione di lui», dice l'Eterno. 21 «Rizza per te dei ceppi, fatti dei pali indicatori, fa' molta attenzione alla strada, alla via che hai seguito. Ritorna, o vergine d'Israele, ritorna a queste tue città. 22 Fino a quando andrai vagando, o figlia ribelle?”.(GER. 31, 18-22)

Quello secondo Luca è comunemente definito ‘Vangelo della misericordia’. Le parabole di Gesù, specie in Luca, sono una miniera di misericordia. In esse Gesù tenta di indurre ad una nuova ‘intelligenza del Regno’.
Con il Capitolo 15 ci si trova al centro di esso.
Per rivelarci il cuore del Padre Gesù ricorre qui al racconto di una possibile vicenda familiare.
Siamo invitati dal nostro brano evangelico a condividere la gioia del Padre e a rispondere all’invito alla festa. Ma per capire e partecipare alla festa organizzata da Dio, è necessario convertirsi al suo amore, vibrare in sintonia col suo cuore, guardare con i suoi occhi, e soprattutto lasciarsi attraversare e vivificare dal suo amore.
Detto questo come preambolo, analizziamo più da vicino la nostra parabola. Essa è in stretto rapporto con le due che la precedono. Di fatto si tratta di un’unica parabola (v.3) con tre paragoni. Ce ne rendiamo conto dalle conclusioni che costellano il Cap.15 di Luca come un ritornello:
“Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta” (v.6).
“Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia dracma che era perduta” (v. 9).
“Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (v. 24 e32).
Lo schema dei tre racconti è lo stesso: perdita – ricerca- attesa – ritrovamento – festa.
Ad una più grande lontananza corrisponde un più grande amore: per la dramma e per la pecora ritrovata si fa festa, per il figlio ritrovato si uccide il vitello grasso, gli si dona l’anello e l’abito regale.
Facciamo ora un passo indietro e soffermiamoci –con l’aiuto di Don Mazzolari- sull’atteggiamento del figlio minore: non è che il padre non gli basti – quando decide di andarsene-. E’ il suo modo di essere di fronte al padre che non gli lascia entrare l’effluvio della paternità, lasciandolo insoddisfatto e sconsolato.
Ma egli comincia a convertirsi proprio quando comincia a staccarsi dalla casa.
L’allontanamento può essere l’inizio di  una lenta e pericolosa, ma provvidenziale elaborazione di un nuovo rapporto col Padre: il vero rapporto religioso.
Allontanamento e ritorno sono due termini che nei nostri rapporti con Dio non si oppongono, perché né la nostra miseria allontana il Signore, né essa ci impedisce di giungere a Lui.
Il Padre è al tempo stesso il pastore che esce per abbracciare, e la donna che resta dentro casa per ritrovare; ma il terzo racconto (il nostro) resta aperto, perché, a differenza dei primi due, non sappiamo se il fratello maggiore resterà dentro casa. Il destinatario del racconto è proprio lui (o noi) se rifiutiamo di far nostro lo stile di Dio, o siamo gelosi della sua misericordia. 

Questa ‘storia di un ritorno’ si può dividere in due parti, che hanno come vertice il versetto 18:
MI  ALZERO’ (risorgerò)  E  TORNERO’ DA MIO PADRE, e gli dirò…
La prima scena (vv.11-24) è dominata dal Padre che spia la strada, che spera contro ogni speranza.
Quel Padre che non poteva costringere il figlio a rimanere a casa, a cui non poteva imporre il suo amore, che ha dovuto lasciarlo andare in libertà, pur sapendo il dolore che ciò avrebbe causato sia al figlio che a se stesso.
Nell’insoddisfazione, nel suo estraniarsi dalla casa, il Prodigo pone il primo atto di uno sforzo veramente religioso che, attraverso varie e dolorosissime vicende, ve lo ricondurrà come figlio devoto e innamorato. Sovente il gesto di rivolta non è che il preludio di una dichiarazione d’amore.

Qui il figlio non è ancora giunto al punto di riconoscere il padre: è ancora lui a dare le soluzioni e a proporle al Padre. Non è ancora un uomo che vede la sua profonda realtà nell’amore.
Troviamo invece la pienezza del riconoscimento del Padre in Gesù al Getsemani, quando chiede se è possibile fare diversamente, ma non impone la propria volontà, riconoscendo nel suo amore di Figlio, la volontà del Padre.
E’ precisamente questo amore filiale che manca ancora al figlio minore della parabola.
Sarà l’abbraccio del Padre al momento del loro incontro a sconvolgere i suoi progetti e il suo modo di pensare.

v.14: “Quando ebbe speso tutto…egli cominciò a trovarsi nel bisogno”; non c’è miglior commento che quello si S. Agostino nelle confessioni: “Io mi facevo sempre più sciagurato, e tu, Signore, ti facevi sempre più a me vicino”.
v. 15 : “Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione”. Questa volta l’andare ha un passo diverso di quando uscì da casa. Allora – commenta Don Mazzolari – più che un cercatore era un conquistatore. Adesso lotta per la vita, per il pane.
v. 16 : Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci, ma nessuno gli dava nulla”. Ma – continua Don Mazzolari – Dio non ci lascia soddisfatti della soddisfazione bestiale; non ci consente di spegnere il dono divino che è in noi. L’uomo deve rassegnarsi ad essere uomo. Dio misericordioso ha posto un limite all’allontanamento da Lui. Il prodigo può contendere le carrube ai porci, ma non può accontentarsi, come i porci, di esse.
v. 17: “Allora ritornò in sè”: prima di trovare Dio, trova se stesso: “Tu eri in me, ma io ero fuori di me” fa eco S. Agostino.
v. 18: “Mi alzerò…andrò…gli dirò: Padre ho peccato verso il cielo e davanti a di te…”. Più che l’amore è la disperazione che lo fa parlare e muovere. “Mi alzerò”: prende la decisione. “Gli dirò : ho peccato”: non voglio gettare la colpa su altri, mi addosso la mia parte di colpa, che è grande.
“Contro il cielo e davanti a di te”; non ho trasgredito una legge anonima; dietro la Legge c’è il Tuo cuore,  c’è la tua paternità, o Signore!

IL PRODIGO E’ IN GINOCCHIO

v. 20 : “Si alzò e tornò da suo Padre”. Si parla normalmente di ‘festa del ritorno’. Il prodigo è uno che va, e, per il padre, un figlio morto e risuscitato, un perduto ritrovato. Ha riconosciuto il proprio torto e nasce di nuovo. Il Padre lo accoglie senza domandargli nulla. Dio ci ama come siamo per farci diventare come ci vuole.
Ed ecco, al versetto 24, vediamo che la morte diventa vita, cioè: nella fatica sofferta di ‘convertirsi per ritornare’ non si vaga senza meta. Un Padre veglia per accoglierci a quel pranzo in cui Egli stesso ci servirà (Lc. 12, 37).
Spesso si ha paura di sottolineare troppo la bontà e la misericordia di Dio. Ma il Vangelo ci insegna che l’uomo cambia la sua vita, la sua mentalità non perché viene sgridato e punito, ma perché si scopre AMATO NONOSTANTE SIA UN PECCATORE. E’ un momento di intenso amore quando la persona vede ad un tratto tutto il suo peccato, percepisce se stessa come peccatrice, ma all’interno dell’entusiasmante abbraccio di Qualcuno che la ama.
La misericordia di Dio è una pazienza attiva e lungimirante. Che non si stanca di aspettare che uno ritorni.
Così ogni uomo, ognuno di noi, potrà dire : “Mi alzo e torno da mio padre, a casa”. Potrà dirlo quando si convincerà della bellezza che si respira nella casa del Padre a causa della libertà che il suo amore emana. Sì, è più importante capire che Dio ci ama, che capire che noi dobbiamo amare Dio.
L’amore di Dio ci fa nuovi, ci restituisce di vivere in una perenne novità di vita (Col. 3,10). Una persona toccata in modo così vivo e immediato dall’amore riesce ad abbandonare la mentalità dell’ ‘uomo vecchio’.
   Ed ora facciamo un salto qualitativo e vediamo come  GESU’ SI E’ FATTO FIGLIO PRODIGO per amore nostro:
Ha lasciato la casa del Padre celeste, è venuto in un paese straniero, ha dato tutto quello che aveva ed è tornato, attraverso la croce, alla casa del Padre.
Egli, l’innocente, si è fatto peccato per noi e Lui, che ha narrato la parabola a quelli che lo criticavano perché si accompagnava ai peccatori, ha vissuto per primo il lungo e doloroso viaggio che descrive.
Dunque, con gli occhi della fede, il ‘ritorno’ del prodigo diventa il ritorno del Figlio al Padre, dopo aver attirato a Sé tutti gli uomini.

Rileggiamo la descrizione che i vv. 20-24 fanno del comportamento del Padre all’arrivo del figlio. Non siamo alla presenza di un bravo figlio che torna a casa e si getta al collo del padre; al contrario è il padre che investe il figlio della sua paternità. Il figlio non riesce a pronunciare il discorso preparato, ma la sua mentalità cambia radicalmente nel momento in cui il Padre ‘gli si getta al collo’. E’ l’amore che cambia una persona, che modifica la sua mente, i suoi sentimenti, la sua volontà. Scoprendosi amato l’uomo vede se stesso in una luce assolutamente nuova.
Commentare al ungo questi versetti rischia solo di attenuarne il vigore.
Sottolineo solo l’incalzare dei verbi:
il Padre vede, si commuove (si turba interiormente), gli corre incontro, gli si getta al collo (letteralmente ‘gli cadde sul collo’), lo bacia, e viene preso da una gran fretta:
“Presto!” dice ai servi: la gioia del Padre è così traboccante che non riesce a trattenersi: ama come solo un padre può amare.
La parabola poteva finire qui, sarebbe finita come gli altri due racconti analoghi della pecora e della dracma smarrite, ma qui l’evangelista apre un altro quadro.
La seconda scena (vv. 25-32) delinea il fratello maggiore, soddisfatto per la sua onestà, che ritiene la conversione una necessità solo per gli altri (cfr. Lc. 18,11-12 –parabola del fariseo e del pubblicano), e le cui lamentele nei confronti del padre ricordano quelle degli operai della vigna di Mt. 20,12.
Dobbiamo riconoscere che i due figli coabitano nella nostra vita.
Ma se riflettiamo sul figlio maggiore ci rendiamo conto di  quanto sia difficile ritornare a casa partendo dalla sua posizione.
Di fronte al tornare in vita del fratello egli prova una reazione di gelosia: in nome della giustizia non può tollerare che quel fratello sia causa di festa. Com’è possibile? Se n’è andato prendendo l’eredità che poi ha dilapidato, mentre lui è rimasto a casa, obbedendo al padre. No, questa festa non gli appartiene.
Tornare a casa da un’avventura sessuale sembra più facile che tornare a casa da un calcolato sdegno che ha messo le sue radici negli angoli più riposti del nostro essere.
Certo, è bene essere obbedienti, ligi al dovere, rispettosi della legge,  ma i nostri risentimenti e lamentele sono spesso misteriosamente legati a questi atteggiamenti lodevoli.
Ed ecco che il padre esce – non lo fa chiamare, esce incontro a lui, come ha fatto col figlio minore, e lo prega con insistenza. Ma il figlio recrimina, vanta la sua giustizia: “Non ho mai trasgredito un tuo comando”.
Solo con Dio il figlio maggiore che è in noi sarà capace di tornare a casa, di lasciare che il Padre guarisca anche lui.
Notiamo più dettagliatamente l’atteggiamento del primogenito:
-parla innanzitutto di sé: “ Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando” (v.29). I termini con cui descrive la fedeltà verso il Padre sono esattamente quelli che definiscono l’ideale religioso degli scribi e dei farisei: “servire” con perseveranza, cercando con estrema cura di non ‘trasgredire’ mai nessun comando.
Il figlio maggiore non si sente trattato con giustizia dal Padre. Ed è a questo suo appunto che il Padre comincia a rispondere (v.31): “ Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”.
Siamo molto lontani da quel capretto non concesso: “Tutto ciò che è mio è tuo!”.
-Il maggiore passa poi a parlare del fratello con un tono che denota il più profondo disprezzo. Non lo chiama “mio fratello”, ma dice: “questo tuo figlio”, proprio come il fariseo della parabola parla di “quel pubblicano”.
E ancora il Padre, nel rispondere (v.32) riprende le ultime parole che concludono la prima parte del racconto, ma con una variante molto significativa: invece di ‘questo mio figlio’ dice: “Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Il figlio maggiore in realtà non era mai stato nella casa del padre: il suo dimorare accanto al Padre non lo aveva portato a conoscerne il cuore. Il suo comportamento fondamentalmente non è diverso dal fratello che se n’è andato: tutti e due non conoscevano l’amore del padre.
La parabola dei ‘due fratelli che non sapevano di somigliarsi’ perché non si sentivano liberi, si sentivano schiavi nella casa della libertà, si interrompe qui.
La parabola non ci dice né dove né quando, né se il maggiore ha recitato il suo ‘confiteor’. Viene la tentazione di pensare che egli sia ancora sospeso tra la durezza ingenerosa di quel cuore che si sente troppo a posto, che ha troppe ragioni per pensare di dover cambiare atteggiamento.
La sua (la nostra) religione ha cessato di essere una ‘passione’, è diventata una legge, che mortifica e non salva.
Il maggiore è uno schiavo nella casa della libertà.
E’ uno di quelli che vedono giusto, che portano in tasca la verità, ma non ha la carità: “Quando avessi il dono della profezia… se avessi tanta fede da trasportare le montagne, se.. se… ma non ho la carità, non ho nulla (1 Cor. 13,1-3).
La finale – allora – per ciascuno dipende dall’accettare o no, di condividere la gioia degli angeli di Dio per ogni storia di fraternità e di figliolanza che ricomincia.

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Ce n’è abbastanza perché possiamo renderci conto del genere di uomini presi di mira della nostra parabola.
Gesù si rivolge a coloro che si reputano buoni servitori di Dio e sono incessantemente preoccupati di non trasgredire i suoi comandi. Essi sono convinti che una pietà così esemplare conferisca loro dei diritti, e non si scandalizzano per i peccatori (per cui provano solo disprezzo), ma si scandalizzano per la misericordia che Dio usa verso di loro.
Perché – se le cose stanno così- che maggior vantaggio avranno ‘ i giusti’? Se i peccatori sono i privilegiati della grazia, a che serve continuare a preoccuparsi di osservare i comandamenti?
+++
La festa di Dio non è facile. Nell’organizzare la festa il Padre si trova solo, non capito, persino biasimato. E’ la solitudine di Gesù nel farsi vicino ai perduti e di riflesso, è la solitudine dei peccatori. La Chiesa è invitata a diventare luogo di festa sincera per chi ha sbagliato, e mai luogo implacabile della legge. La Chiesa è invitata, da sempre, ma in particolare ora da Papa Francesco e nell’anno della Misericordia, a imparare la difficile arte di creare festa, attraverso l’offerta del perdono fino a settanta volte sette, organizzando la festa della vita anche là dove sembra impossibile, sanando e facendo risorgere, così come ha fatto Gesù.
Per capire e partecipare alla festa organizzata da Dio è necessario convertirsi al suo amore, vibrare in sintonia col suo cuore, guardare con i suoi occhi, lasciarsi attraversare e vitalizzare dal suo amore.


Il richiamo della tenerezza di Dio verso i peccatori – che la parabola rivolge ai farisei non è senza valore per noi.
Ci ricorda che non è possibile servire Dio senza partecipare all’amore che Egli porta ai nostri fratelli ( e a noi) anche e soprattutto se sono (se siamo) peccatori.
“se Dio ci ha amato così, noi pure dobbiamo amarci scambievolmente” (1 Gv.4,11).

La parabola ci pone allora una domanda: qual’è la nostra personale reazione all’atteggiamento del Padre? Tocca a noi dare la risposta che il figlio maggiore non ha dato: ha ragione il Padre o esagera verso il minore? Come giudichiamo la logica del Padre (che supera ampiamente la nostra)?
   Questa parabola ci aiuta davvero a chiederci, noi che amiamo Dio padre, quale immagine di Dio abbiamo.
Gesù ci interpella: a ciascuno di noi dare la risposta nel nostro cuore.

Preghiamo allora così:
“ Donaci, Signore, la fantasia di organizzare la tua festa con progetti positivi di rinnovamento; donaci luce e  coraggio di denunciare e lasciare tutto ciò che offende il fratello e lo allontana dal tuo amore; donaci di essere credenti, concordi e capaci di vera conversione al tuo amore e condividerlo nella festa.
Fa’ che la nostra vita sia profezia della tua festa” Amen.


domenica 12 giugno 2016

Apostolato della Preghiera : convegno regionale

CONVEGNO REGIONALE APOSTOLATO
DELLA PREGHIERA PUGLIA

11 GIUGNO 2016
PROGRAMMA DELLA GIORNATA
 ORE 10.00 Accoglienzav
 ORE 10.30 Saluto del promotore regionale don Claudio Cenacchi, e catechesi dal temav
«MISERICORDIOSI COME IL PADRE» a cura di suor Anna Maria Mulazzani, suora Oblata Benedettina di Santa Scolastica.
 Ore 11.45 Intervallo.v
 ORE 12.00 Celebrazione Eucaristica.v
 ORE 15.00 Ora della Divina Misericordiav

 ORE 15.30 Congedo.v

il convegno si è svolto nel

Santuario Santa Maria di Cotrino – Latiano (Brindisi)
Situato a circa1 Km dal centro di Latiano  questo luogo di culto mariano  sorge in seguito ad un prodigioso ritrovamento, avvenuto agli inizi del ‘600  da parte di una contadina “ offesa in tre sensi del corpo  perché cieca, sorda e muta”, alla quale  in sogno  apparve la Madonna che, sanandola nel corpo, le indica un luogo in cui si erge su un muro nascosto tra i rovi  la  sua sacra immagine. La povera donna, riconoscente, unitamente al marito si conduce a Cotrino, località campestre presso Laviano, dove, scoperta la santa effige, si adopera elemosinando tra la popolazione locale, per l’edificazione di una piccola chiesa. Il vescovo Mons. Lucio Fornari, Vescovo di Oria, constatato l’ampio consenso devozionale il 9 Marzo 1606 istituisce la festa liturgica della Madonna di Contrino. L’anno successivo, con bolla datata 3 Febbraio 1607 ad opera dello stesso vescovo, la chiesa viene elevata a Rettoria e concessa al Capitolo della terra di Latiano. In seguito la chiesa fu ampliata ulteriormente, con l’aggiunta, nel 1856 della facciata in stile neoclassico.L’attiguo monastero, progettato nel 1915 dall’Ing. Gennaro Bacile, fu affidato nel 1922 alle cure dei Monaci Cistercensi. Nel 1992 essi, su progetto dell’Ing. Luigi Sticchi, edificarono un nuovo convento e l’attuale moderno tempio. La festa della Madonna di Cotrino si celebra dal 4 al 6 Maggio con processioni e fiaccolate.






sabato 28 maggio 2016

Apostolato della Preghiera : Meditazione Maggio 2016

Apostolato della Preghiera : Meditazione Maggio 2016:
Apostolato della Preghiera di Foggia -Bovino
Incontro di preghiera comunitario del 27-5-2016
Cari fratelli e sorelle,
siamo alla chiusura effettiva del nostro anno sociale, che dallo scorso dicembre è andato avanti con acuto senso di vuoto per la dipartita del carissimo don Matteo, e siamo qui riuniti per la preghiera comunitaria mensile e per un sincero e fraterno saluto, che riporterò a nome di tutti voi in occasione del Convegno regionale che si terrà il prossimo 11 giugno in provincia di Brindisi: è quella la data che segna ufficialmente il termine delle nostre attività apostoliche del 2015-2016.
È  il momento dei consuntivi, ed io stasera ho incentrato la preghiera e la meditazione che faremo insieme, come ormai da tanti anni, sulla nostra comune vocazione a compiere un cammino spirituale di santificazione nel seno dell’Apostolato della Preghiera, che conduce alla meta più alta e più feconda della sequela di Cristo, avere il suo Cuore unito al nostro e nutrire i suoi stessi sentimenti.
Siamo stati chiamati a far parte dell’AdP forse perché avevamo un forte desiderio di gustare la pace, la gioia, l’ardore che il Cuore divino possiede e trasmette al cuore dell’uomo avvilito, sconfortato, deluso dalle illusorie promesse di felicità del mondo; forse perché volevamo fortemente crescere e maturare nella fede, nella speranza, nell’amore per il Creatore ed il creato, dagli esseri umani alla natura, ed il Cuore divino soltanto ce lo poteva magistralmente insegnare; forse perché nelle dure prove dell’esistenza terrena volevamo ottenere un aiuto speciale per non essere schiacciati dagli affanni e dalle difficoltà, e solo il Cuore divino ce lo poteva dare, fatto sta che ci siamo messi in pellegrinaggio sulla via che dalle tenebre della carne conduce alla luce dello Spirito, non siamo rimasti supini nelle nostre vane passioni, con slancio ci siamo sforzati di superare i nostri limiti di verità e carità, nutrendoci della Parola di Dio e dei Sacramenti.
 Ma quante cadute, quanti fallimenti, quante sconfitte, quante infedeltà, nella nostra risposta alla chiamata di Dio ad essere suoi apostoli grazie alla sua misericordia, al suo perdono, al suo latte spirituale!
San Pietro  apostolo ci ammonisce: “Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell’ignoranza, ma ad immagine del Santo che vi ha chiamati , diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta; poiché sta scritto: “Voi sarete santi, perché io sono santo.”.
E  sempre san Pietro, nella sua lettera della prima lettura di ieri, ci dice: “Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia. Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all’anima. La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio.”.
Che cosa ci turba, ascoltando questa Parola, la nostra indegnità, sapendo che la nostra condotta non è stata sempre limpida, priva di compromessi,o  la nostra incapacità a vincere una volta per tutte la battaglia contro l’egoismo, il tornaconto, la vanagloria, il  vanto di fronte agli uomini? Oppure il nostro perdurante attaccamento al denaro, ai beni materiali piuttosto che a quelli spirituali?
Quante volte abbiamo  preferito   la soluzione economicamente più vantaggiosa, o  il successo di un progetto umano non del tutto  in sintonia con la nostra coscienza cristiana,   piuttosto che scegliere la strada più impegnativa e dolorosa della denuncia del piccolo o grande imbroglio che si stava mettendo in atto, delle mezze verità che si dovevano dire per un fine in apparenza buono, in realtà non a gloria di Dio?
Quante volte abbiamo barato con noi stessi, pur di non perdere la stima del mondo, o dei nostri stessi familiari avvezzi alla mentalità del mondo?
Quante volte abbiamo voluto salvare il nostro buon nome, la nostra reputazione, la nostra vita nel mondo, e invece l’abbiamo persa, la vita, non agendo per il nome e nel nome del Signore?
Gesù è chiaro:” In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del Vangelo che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna.”.
È difficile, fratelli, non essere attaccati a qualcosa di terreno, rinunciare a qualcosa che ci sta molto a cuore, sia un bene materiale o il nostro amor proprio, ma se non vogliamo andarcene tristi lontani da Gesù che ci propone la via stretta della santità, come fece il giovane ricco, dobbiamo deciderci a vivere la nostra vocazione alla santità nell’Apostolato della Preghiera come il Signore  insegnò  ai suoi  discepoli, e come ci ricorda nella prima lettura di domani san Giuda apostolo: “Costruite il vostro edificio spirituale mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio, attendendo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna.”  E come ci richiama ancora san Pietro apostolo: “Siate moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati.”.
Questo deve essere il nostro promemoria, il nostro impegno nel cammino che stiamo facendo, e che mai smetteremo, fino alla luce dell’aurora: amare Dio e i fratelli, e mediante l’amore portare frutto duraturo.  Non abbiamo paura delle nostre cadute, della nostra debolezza e fragilità, ma usiamo l’arma potente della preghiera, che alimenta e fortifica la fede, la speranza e la carità.
Contemplazione e azione, dunque, preghiera e opere secondo lo Spirito Santo che scende rinnovatore e chiarificatore, come  sugli apostoli riuniti con Maria nel cenacolo, su chi si riunisce a pregare nel nome di Gesù, ed ascolta e medita la sua Parola.
Proprio a Maria ci affidiamo, alla Madonna delle Grazie, perché interceda per noi affinchè otteniamo la grazia di una fede che vince ogni ostacolo, che abbatte ogni nostro limite, che ci rende più forti delle lusinghe del mondo. Con tale fede, è promesso da Gesù nel Vangelo di oggi all’unica condizione di perdonare per essere a nostra volta perdonati dal Padre celeste, “ Se uno dice a questo monte:Levati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato.”
È così, fratelli, e così sia!


La responsabile diocesana Filomena Saracino Savino

giovedì 19 maggio 2016

Apostolato della Preghiera : poesia Lacrima

Lacrima
Scende dal viso mio una lacrima silente,
niente più ch’un luccichio nel buio della fede
ch’altro non vede che foreste fitte,
le mie mani patite tra loro in preghiera unite.
Basta disperare,
non posso più vagare all’intorno nella sera,
accetto le sconfitte,
la via farò a ritroso,
e troverò riposo!
Mi metto a camminare verso valle,
volto le spalle al tremulo sentiero dov’ero inerpicato,
con vero pericolo di precipitare in un fosso,
tuttavia, portato da un pensiero sconvolgente
ritorno sui miei passi,
e là, tra i sassi, brilla insistente la mia stilla di pianto.
D’incanto lo so, che mai son stato solo,
non lo sono, e giammai lo sarò!
È giorno d’avventura,
e non ho più paura!

In “Lacrima” il viaggio dell’io dal buio della paura di essere destinato ad una serie di amarezze e delusioni per l’insano condizionamento del senso sul comportamento umano, verso il traguardo di pace e serenità che spera paradossalmente di raggiungere contro ogni mancanza di speranza, procede molto faticoso ed arduo, al punto che tornerebbe indietro, se non vi fosse qualcosa che brilla nelle tenebre della fede ancora incerta ed insicura, la stilla di pianto supplichevole, a mani giunte, nell’ora più difficile.

giovedì 21 aprile 2016

Apostolato della Preghiera : MI LEVERO’ E ANDRO’ DA MIO PADRE…

MI LEVERO’ E  ANDRO’ DA MIO PADRE…
(Un cammino di fede)
Premessa
Quando si dice di fare un cammino di fede, non è corretto  ritenere il proprio risveglio spirituale qualcosa che proviene in prima istanza dalla volontà, determinata a conseguire un diverso scopo di vita, è giusto riconoscere che il bisogno di cambiamento di prospettiva attiene primariamente al cuore, che non  prova più gusto  nella  soddisfazione dei piaceri materiali, scoperti fugaci e precari, e tende al  conseguimento  del solo bene  che  lo rende capace di letizia duratura e gli assicura un baluardo incrollabile contro le amarezze e le delusioni, il consiglio d’amore,  ovvero lo Spirito Santo, che il Signore dona in abbondanza al piccolo, al semplice, all’umile che s’abbandona  fidente alla sua Provvidenza.
Ogni nostro tentativo, per quanto fiero ed audace, di combattere e vincere i mali costituzionali che ci condizionano nel rapporto  con il prossimo e ci procurano tensioni  e lacerazioni interiori, non ottiene esito positivo senza  il dono  della sapienza divina, che ci fa capire  quali siano i veri tesori  necessari per  acquisire  il possesso del Regno promesso ai figli di Dio, la giustizia unita alla misericordia, la verità unita alla carità,  che si ottengono ribaltando l’odio ed i risentimenti  umani in sentimenti cristiani di pace, concordia,tolleranza, perdono.
C’è bisogno della conoscenza di  noi  stessi per riconoscere i nostri difetti ed i nostri limiti, le nostre debolezze e le nostre presunzioni di potenza ed onnipotenza, e le dure prove della vita sono il mezzo per purificarci dalle oscure vanaglorie e chiarificarci riguardo alle nostre miserie: il cammino di fede uniti  a Gesù Cristo , il Figlio unigenito di Dio che con la sua passione e morte ci indicò la via che conduce alla luce della resurrezione, è il presupposto di ogni nostra speranza di salvezza, è la nostra certezza di una sorte di gloria, a dispetto dei nostri imperfetti  comportamenti, è il pellegrinaggio dell’io dalla sera  che accora e spaventa  per i tanti pericoli e doli in agguato, all’ aurora del mattino, quando nasce dalle ambasce una nuova creatura, redenta e salvata dalla Parola incarnata, compresa e scesa nell’ abisso di noi, il Crocifisso.
Ancora cammino, ad oltranza, per  adorarLo ,  glorificarLo e testimoniarLo al mondo in profondo sgomento e sconforto, non conoscendo e riconoscendo la Sua divina Provvidenza ed il Suo almo Consiglio, che il Risorto suo  Figlio, che fece in tutto e per tutto il volere del Padre, trasmette e rivela alla persona di buona volontà che si mette alla Sua sequela  con coraggio ed ardire.
Dio Padre ama tutti, tutti chiama ad essere santi, ascoltiamo la Sua mistica voce, quando portiamo la Sua croce!

All’uomo  non domo al compromesso,  che non si piega alla logica terrena, Egli non nega piena assistenza, cura e benevolenza:  orsù, non abbiamo paura di partire per concepire la Via, la Verità, la Vita!

venerdì 26 febbraio 2016

Apostolato della Preghiera : Meditazione del 26 febbraio 2016

Passione e compassione
Quando diciamo che Gesù patì amari dolori, soffrendo i colpi meschini che gli venivano  dal cuore degli uomini accecati dalle tenebre nemiche della visione limpida e pura del creato e delle creature, riconosciamo che non solo  Egli è stato sottoposto all’assalto diretto del tentatore con audacia incredibile, nel deserto,  ma ha dovuto subire flagelli e mortificazioni da coloro che sono stati testimoni della Sua vita e della Sua parola di verità e di carità, eppure sono rimasti ciechi e sordi all’appello a pentirsi, a  convertirsi, a decidersi per la giustizia, la pace, la bontà, la solidarietà.
Il tempo liturgico che stiamo vivendo, la Quaresima, momento di revisione della nostra condotta e di proposito di rinnovarla, ci spinge a guardare dentro di noi con serietà, a cercare di superare il dualismo di bene  e male,  disciplina e disordine, mitezza ed arroganza, pazienza e ed insofferenza, fratellanza e rivalità, e ci costringe a confrontarci con la condotta di Gesù  con onestà e sincerità.
E quanto più commisuriamo la nostra lotta interiore, il nostro travaglio spirituale con quello di Gesù in agonia nell’Orto degli Ulivi, o messo alla gogna e deriso, oltraggiato ed ingiuriato da persone ottenebrate dalla superbia, dalla prepotenza,  dal vanto e dalla vanagloria, dal cinismo e dall’egoismo, tanto più ci sentiamo smarriti, impauriti, perché sotto gli assalti  della miseria che ci angosciano e ci amareggiano noi non siamo forti come Gesù, non siamo vittoriosi come Gesù, ma impotenti e fragili, e siamo tentati di rinunciare a lottare.
Ci spaventiamo  perché  sappiamo bene che  è molto dura la lotta contro i tanti mali che ci affliggono, (desideri impuri, brama di potere, istinto di sopraffazione verso i più deboli, sete di vendetta, scatti di ira, invidia e gelosia, rancore e risentimento, fastidio ed  antipatia, dispetto e scortesia, ingiustizia ed irriconoscenza, ed altri ancora),  e che è  così dura perché i nemici contro cui combattere sono interni, radicati dentro di noi e più o meno sviluppati, e fuori di noi, provenienti dal mondo esterno che ci circonda: Gesù non aveva in sé  nessuna macchia, nessun peccato proprio,  e potè  in un istante superare la prova del combattimento tra la carne e lo spirito e rendere perfetta obbedienza al Padre, ed alla fine del suo calvario terreno  trionfare sulla morte, ma noi, che non siamo come Gesù, che non siamo Gesù, come possiamo sperare di vincere e vincerci?
Ebbene, la Parola di Dio che permea di speranza tutto il periodo della Quaresima è la luce che ci porta a questa vittoria che ci sembra impossibile, è il messaggio di salvezza che ci rincuora, è la carità che ci sorregge e ci guida a questa magnifica verità: Dio è amore, misericordia, perdono!
Facciamolo, questo speciale pellegrinaggio quaresimale della speranza,  partendo dalla preghiera di supplica, di lode,di abbandono a Colui che è buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore: “In te mi rifugio, Signore, che io non resti confuso in eterno; mi salverai dalla rete che mi hanno teso i nemici, perché tu sei la mia difesa.” (Sal.30, 2.5)
Ed ancora:” I miei occhi sono sempre rivolti al Signore, perché libera dal laccio i miei piedi. Volgiti a me ed abbi misericordia, Signore, perché sono povero e solo.” (Sal. 24, 15-16)
E come comincia l’azione salvifica del Padre, la Sua promessa di liberazione dalla nostra condizione di disagio, di sofferenza, di agonia, nella morsa delle nostre miserie? Con una scossa di fede, che è sempre Sua grazia e Suo dono.
Recita il salmo 50:”Tu non gradisci il sacrificio, e se offro olocausti, non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu o Dio, non disprezzi.”. E  Dio nel nostro cuore affranto ed accorato, umile e supplice, mette il desiderio di conversione, l’anelito ardente a non restare a marcire nei nostri soliti vizi, nelle nostre solite rovinose inclinazioni al piacere, all’ozio, all’ingordigia del possesso di ogni cosa che ci attrae ed alla reazione rabbiosa contro chi ci rimprovera, ci richiama, ci ostacola nella soddisfazione  delle nostre insane voglie: “ Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò:” Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te!”.(Luca 15,18).Ecco quello che faremo!
Questo gradisce il Signore, che deponiamo l’orgoglio e ci battiamo il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!”. Dio gradisce gli umili di cuore,dà loro la forza di alzarsi e camminare spediti, corre loro incontro e li ricolma di ogni bene, come si legge nel salmo 102: “Benedici il Signore, anima mia, quanto è in te benedica il suo santo nome. Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie, salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia.”.
L’uomo che spera nell’aiuto del Signore e nell’angoscia grida il suo nome è perdonato, il suo debito è cancellato, ma ad una precisa condizione, che anche lui deve avere pietà del suo fratello.
Leggiamo in Matteo 18, 32-35: “Servo malvagio, ti  ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini,finchè non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello.”.
E in Luca 6, 36-38:” Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato.”.
L’umanità è redenta da Cristo, che patì e morì per noi peccatori, la nostra salvezza è fondata sulla sua Persona, perché il Padre ha mandato Lui, il Figlio unigenito, per manifestare la Sua misericordia e per testimoniarci  la Sua paterna tenerezza e generosità: ma Cristo è stato mandato perché diventi il nostro faro, il nostro modello, il nostro maestro di vita e di fede, che ci insegna a capire ed a fare la volontà del Padre. E come Cristo patì e compatì, perdonando e chiedendo di perdonare sulla croce coloro che non sanno quello che fanno, così noi come Lui dobbiamo soffrire ed offrire, patire e compatire, condonare e perdonare,  con una scossa non solo di fede nel Padre e nel Figlio, ma anche di amore.
La volontà del Padre è proprio questa,  che, una volta liberati dalla schiavitù del peccato grazie alla preghiera, alla contrizione,  alla conversione, camminiamo sulla via di Cristo per la nostra santificazione, per la nostra Pasqua di Resurrezione.
In  questa Quaresima ci siamo levati, ci siamo scossi? Ebbene, cominciamo una vita nuova,dove non trovano più spazio l’orgoglio, l’egoismo, il fariseismo, la bramosia,  ma  dominano la semplicità, la comprensione, la tolleranza, la disponibilità ad aiutare i fratelli ancora nelle tenebre, nelle pene del cuore senza pace, a volgere lo sguardo al Cielo: misericordia è salvare, non soltanto salvarsi, donarsi, non soltanto donare, come fece Cristo, e per Lui, con Lui ed in Lui possiamo fare noi cristiani.

Filomena Saracino Savino   


domenica 14 febbraio 2016

La Sapienza del cuore



Lega i lembi del fazzoletto per ricordarti di pregare prima di programmare la giornata, o ti ritroverai con le mani  legate.

Ripeti una preghiera con calma, parola per parola: quante novità scoprirai!

Mangia piano, contemplando la mensa: ti abituerai a contemplare anche il Signore che ti fornisce il pane quotidiano.

Respira tre volte profondamente, e allarga le braccia: cogli la prima cosa che puoi, e ringrazia Dio che te l’ha data.  Se poi non hai niente a portata di mano, ringrazialo per l’aria che respiri: riceverai il dono di apprezzare anche i tuoi sospiri!

Vuoi dedicare qualche minuto al giorno a meditare sulle parole: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori.”? Alla fine sarai ricco di pietà e compassione.

Sorveglia le cose, veglia sulle creature, ardi per il Creatore dell’universo: che errore, l’inverso!

Provvedi alle tue necessità materiali con sobrietà, senza eccessive pretese, ma chiedi senza mezze misure vive ricchezze spirituali: il tuo benefattore è il Signore!

Manda giù l’orgoglio, quando non hai più speranza d’ingoiare altra sostanza, o la tua vita è finita!

L’apatia è costeggiare la riva del mare e non salpare, vivere senza coraggio, essere personaggio.

Non essere lento nel cambiare abitudine, o l’abitudine ti farà essere lento nel capire quand’è il momento di reagire.

Non vendere fumo, o gli occhi rossi  per l’interna apprensione sveleranno il tuo inganno.

Non rincorrere il successo, o andrai a sbattere contro l’insuccesso che non potrai evitare d’incontrare.
Non essere triste con imbarazzo, è il momento della vita che fa comunione più di tante ostentate risate.

Opera bene, e il bene che fai nella tua opera ritroverai.

Vale la pena perdonare, perché la pena scompare.

Prima di coricarti, esamina la tua giornata, e pensa a chi ti ha dato fastidio dedicandogli una preghiera: ti sentirai sorprendentemente soddisfatto.

Non disturbare chi veglia, sveglia chi sogna senza coscienza di quel che bisogna fare.

Saluta per primo, o chi pronto ti saluta al tuo confronto è un signore, anche se è un tuo servitore.

Ascolta l’amico che ti consiglia, ma consiglia a tua volta all’amico di imparare ad ascoltare.

Conserva le regole di tuo padre, ma osserva le tue certezze: ti ritroverai le ricchezze di tuo padre e le tue, che domani ai giovani consegnerai.

Illumina il davanzale della finestra prima di andare ad una festa: la luce è l’unica arma che disarma il truce!

Ripeti più volte il tuo nome, e sarà come sentire amore a non finire.

Rapporta la tua età alla tua fame: il cuore giovane è sempre affamato di Verità e Carità.

Ascolta l’anziano, consiglia il giovane, istruisci l’infante, ma fatti istruire, consigliare, avvertire dai fatti  che non a caso ti capitano: sono un  messaggio d’amore del Signore per farti diventare saggio.

Non staccare la spina, quando sei stanco di fare del bene senza riconoscenza: non è in rovina che andrai, se donerai  all’eccesso te stesso.


sabato 30 gennaio 2016

Apostolato della Preghiera

Incontro del 29 gennaio 2016
Cari fratelli e sorelle dell’Apostolato della Preghiera,
ancora una volta ci riuniamo qui, oggi 29 gennaio 2016, in questa raccolta chiesa di San Giuseppe in via  Manzoni, Foggia, per pregare insieme e ringraziare il Signore per la speranza circa il futuro della nostra associazione che Egli ci mantiene sempre viva e salda.
Siamo in attesa degli eventi, aspettiamo di sapere chi ci dirigerà ed assisterà paternamente, intanto continuiamo a camminare alla sequela di Cristo senza adagiarci nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, nei nostri progetti  personali, perché i  pensieri, i sentimenti , progetti, giudizi, valori che coltiviamo dentro di noi  hanno bisogno di essere confrontati, verificati con quelli degli altri, con umiltà e riconoscenza.
Sì, con riconoscenza, perché solo chi si mette in relazione con l’altro, e non si chiude orgogliosamente nei propri orizzonti spirituali, morali, intellettuali, può conoscere meglio e più a fondo se stesso, poichè  ogni individuo con cui entriamo in contatto ha un suo proprio e diverso risvolto, e tale diversità ci aiuta a riconoscere quali sono le disposizioni del nostro cuore nelle varie situazioni, soprattutto ci fa capire quanto siamo capaci di donare e perdonare,quanto siamo miti e tolleranti, pazienti e comprensivi.
Se capiamo i nostri limiti ed abbiamo il desiderio e la speranza di migliorarci, di progredire nelle virtù cristiane, di essere capaci di amare i fratelli con un amore libero da compromessi ed interessi, dobbiamo camminare per le vie del mondo alla conquista del vero sapere che si nasconde dietro i tanti interrogativi che ci vengono da chi ci interpella e ci chiede aiuto per risolvere mali e problemi della vita quotidiana: risolvendo,o non rifiutandoci di aiutare a risolvere le miserie altrui,facciamo del bene a noi stessi, scoprendo le nostre mancanze e le nostre ottusità, e decidendoci a fare un serio cammino di conversione e di  rinnovamento di vita.
Ma non attribuiamoci alcun merito per il progresso che eventualmente facciamo nel viaggio-pellegrinaggio  per la nostra giustificazione: in un percorso arduo e difficoltoso, faticoso e duro, è Dio che si fa nostra consolazione nel disagio e nella stanchezza, nel ristagno della volontà di continuare a trovare i tratti della fratellanza in quanti appaiono ostili e gretti, nella scelta angosciante tra il vivere amando i propri amici ed il generoso darsi pena a favore dei propri nemici, e quando il dramma interiore lacera l’anima ondeggiante e smarrita di fronte al sacrificio di una cosa preziosa, il gusto di vivere tranquillamente e serenamente gli anni riservati alla piena soddisfazione del proprio io, è sempre Dio che infonde slancio ed ardore al pellegrino per consentirgli  di riuscire a compiere il tragitto purificatore fino ad essere retto, corretto, prode.
A quel punto il cuore dovrebbe aver trovato la sua pace, pago di essere fuori dalla logica del profitto, dal laccio del potere, dalle lusinghe della lode e della stima degli uomini, ma quanto più è in sintonia con il Cuore di Gesù, suo modello e meta ad oltranza, tanto più geme, freme, implora , insoddisfatto, di essere fatto santo.
La speranza  è l’anelito insopprimibile a continuare a camminare in compagnia di Cristo, confortati dalla sua cura, dalla sua confidenza, dal suo sostegno: svanisce ogni timore, ogni paura, sapendo che i miti, i piccoli, gli umili Egli nell’ora del turbamento, del dolore acuto, dello sconforto, se li prende sulle spalle e li conduce al  cospetto del Padre, per il dono del perdono e dello Spirito Santo, l’Amore assoluto che li unisce da sempre e per sempre.
Ci conceda  la Santissima Trinità la fede in abbondanza, la speranza che non muore mai,la carità misericordiosa,  che è luce forte e chiara che l’apostolo, il seguace di Gesù riceve nel profondo e deve custodire e alimentare per rischiarare i cuori affranti  che per le vie del mondo si troverà davanti.

Filomena Saracino Savino